Economia

Stiamo dando via tutte le nostre aziende migliori

game-over-519008-mSicuramente un paese più che industrializzato e, per certi settori, anche all’avanguardia ed innovativo.
Questa era l’Italia di alcuni anni fa e, se risaliamo di qualche decennio, lo possiamo esemplificare con quel Mattei che si mise in testa (pensa che pensiero folle!) di battere la concorrenza delle sette sorelle petrolifere che dettavano legge con il loro monopolio dell’OPEC.
Alitalia, Telecom, il Petrolchimico di Marghera, le grandi griffe della moda, il made in Italy, l’Olivetti tanto per citare alcuni famosi nomi che hanno fatto la fortuna del nostro paese. Ma è da oltre venti anni che l’Italia ha condotto la più grande dismissione di beni pubblici dell’intera Europa che si è trasformata in una Caporetto  che stiamo ancora pagando.

Inizia nel 92 con un insieme di accordi sulla concertazione e poi con la legge Treu del 97 a proposito di flessibilità l’inizio del crollo di grandi imprese.
La globalizzazione è sempre stata una giustificazione per nascondere interessi non sempre in linea con le esigenze del paese e le passate malversazioni di imprenditori che hanno spremuto più possibile prima di cedere la loro attività, ha fatto il resto.
Che oggi la Telecom venga ceduta per pochi spiccioli alla spagnola Telefonica è solo la punta di un iceberg che annovera le vendite di Fiorucci Salumi, Carapelli, Olio Sasso, Riso Scotti, Bulgari, Fendi, Gucci, Brioni, Parmalat, Locatelli, Galbani, Invernizzi e via dicendo. Marchi storici in settori strategici come quello delle telecomunicazioni, moda, alimentari (leggi articolo).
E presto potrebbe toccare all’Alitalia, alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera, alla ILVA e questo perchè nessun imprenditore italiano ha i mezzi e gli input giusti per interessarsene intervenendo continuando così a deprimere il capitale delle nostre grandi aziende che, laddove non sono costrette a chiudere o si delocalizzano in paesi dove burocrazia e tassazione è migliore, oppure vengono cedute ad investitori stranieri che approfittano del momento per comprare a prezzi di realizzo.
Ma in tutto questo, quanta responsabilità ha la politica italiana?

 

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